Recentemente, il noto musicista e creator Auroro Borealo ha annunciato il suo abbandono da Spotify con un post intitolato: “Perché la mia musica non è più su Spotify”. Un gesto forte, sintomatico, che ha raccolto un grande consenso ma che, a un’analisi più attenta, rivela le sue contraddizioni. La scelta di “disertare” da un monopolio come Spotify appare come un atto di coerenza e di resistenza, ma questa narrazione romantica si scontra con la fredda architettura dei rapporti di potere che governano il settore. Ne ho detto di più in questa intervista e, alcune conclusioni che ho tratteggiato in quella sede, vorrei provare di correggerle
Se il problema è che il CEO di Spotify, Daniel Ek, investe in aziende belliche – come Helsing, una compagnia che sviluppa software di intelligenza artificiale per scopi militari – allora diventa difficile giustificare la comunicazione di questa scelta tramite Instagram, ovvero tramite Meta, che a sua volta ha stretto partnership con aziende del settore della difesa come Anduril Industries. Questo doppio standard rischia di generare una sterile gara di superiorità etica, senza intaccare realmente il sistema.
Ho cominciato quindi a chiedermi quali forme di ribellione ci possano essere rimanendo dentro Spotify.
Accanto alla diserzione, un’altra forma di ribellione individuale è l’hacking, il tentativo di “fregare il padrone” dall’interno. La sua versione più rozza e diffusa è la generazione di ascolti artificiali tramite bot e click farm. Questa pratica, più che un attacco al sistema, è un’azione autodistruttiva e un “saccheggio orizzontale”. Non danneggia la piattaforma miliardaria, ma diluisce il valore degli stream per tutti gli altri artisti, specialmente quelli più onesti e in difficoltà. Spotify, con i suoi sofisticati sistemi di rilevamento frodi, non solo neutralizza facilmente questi tentativi, ma li usa per affinare i propri strumenti di controllo, trasformando ogni ribellione in un’opportunità per rafforzare il proprio potere.
Se la frode degli stream è una scaramuccia ai confini del regno, la vera sfida al modello di sovranità di Spotify emerge da una forza sistemica, un nuovo paradigma produttivo che minaccia di rendere obsolete le regole del gioco: la musica generata dall’intelligenza artificiale. Non si tratta più del singolo artista che cerca di barare, ma di un nuovo modello industriale che “hackera” il sistema dall’interno, su una scala inimmaginabile. L’IA può generare migliaia di brani a costo zero, scientificamente ottimizzati per inserirsi nelle redditizie “playlist funzionali”, studiate da giornaliste come Liz Pelly nel suo libro “Mood Machine”. Il risultato è una “Grande Diluizione” del valore di ogni singolo stream, dove la musica creata da un essere umano si trova a competere con un prodotto industriale a costo zero. Un esempio emblematico è il caso di “The Velvet Sundown”, una band fittizia creata con l’IA che, attraverso un’astuta operazione mediatica, ha raggiunto milioni di ascoltatori, evidenziando la difficoltà nel distinguere tra creazione “autentica” e “artificiale”.
Questa nuova ondata produttiva mette in crisi le difese della piattaforma, progettate per identificare l’ascolto falso, non la creazione falsa. Come si può definire “illegittimo” un brano che, tecnicamente, è un file audio originale, ascoltato da utenti reali?
È proprio in questa palude di ambiguità che l’hacking tramite IA si rivela come la minaccia definitiva. Non attacca il sistema con la forza bruta di un bot, ma lo satura con la sua iper-efficienza. Sfrutta le stesse logiche di ottimizzazione e scalabilità su cui la piattaforma ha costruito il suo impero, ma le spinge a un estremo tale da minarne le fondamenta economiche e culturali. Non è più una semplice ribellione contro il sovrano; è l’ascesa di un nuovo potere, uno che parla la stessa lingua computazionale del sovrano, ma la usa per perseguire un fine radicalmente diverso: la produzione infinita di contenuto in un mondo di risorse finite.
Affinità e divergenze tra The Stack e noi
Il saggio di Benjamin Bratton, “The Stack: On Software and Sovereignty”, offre un modello potente per comprendere la politica, la società e il potere nell’era della computazione planetaria. The Stack è una megastruttura accidentale, un’architettura che governa il mondo attraverso sei livelli interconnessi: earth, cloud, city, address, interface, user. Analizzare lo scontro tra artisti e Spotify attraverso questa lente sposta il dibattito da una questione di etica individuale a una di architettura del potere e sovranità computazionale.
- Cloud: Spotify come piattaforma-sovrano
Spotify non come un semplice distributore, ma una potenza che”modella il mercato e le carriere. Nel modello di Bratton, Spotify è un’entità del livello cloud. Le piattaforme cloud (come Google, Amazon, Meta e, in questo dominio, Spotify) sono i nuovi sovrani geopolitici. Non sono stati neutrali; esercitano una vera e propria sovranità su un territorio (il mercato musicale globale), gestiscono una popolazione (artisti e ascoltatori) e impongono leggi economiche (il modello di royalty pro-rata, gli algoritmi di raccomandazione). Lo “strapotere” è la manifestazione di questa sovranità della piattaforma. - User: artisti integrati e ribelli
L’artista, in questa architettura, è relegato al livello user. Bratton decostruisce la nozione umanistica di “utente” come agente libero. L’User dello Stack non è un cittadino, ma un’entità (umana o algoritmica) le cui azioni sono previste, modellate e contenute dall’architettura stessa.
La diserzione (Auroro Borealo): il gesto di abbandonare Spotify è un tentativo dello User di disconnettersi. Tuttavia, come dicevo, questo atto è inefficace e contraddittorio. Bratton spiegherebbe questa inefficacia con la totalità dello Stack. Non si può realmente uscire dallo Stack, si può solo passare da una giurisdizione del cloud a un’altra. Protestare contro Spotify (cloud) usando Instagram (un’altra piattaforma cloud, parte di Meta) non è ipocrisia, ma la prova che ogni azione è già interna alla logica della megastruttura. La ribellione dello user è prevista e, in definitiva, irrilevante per la stabilità del livello cloud. Il gesto appare elitario perché solo alcuni user hanno il privilegio di tentare una disconnessione parziale senza subire un collasso economico.
Hacking: questa è un’altra forma di ribellione dello User, un tentativo di manipolare le regole imposte dal Cloud. il cui risultato è un saccheggio orizzontale e autodistruttivo. Nella visione di Bratton, questi tentativi sono come piccole insurrezioni locali che il sovrano (Spotify) non solo reprime facilmente, ma utilizza per rafforzare il proprio apparato di controllo (“affinare i propri strumenti”). La ribellione dello User, invece di indebolire lo Stack, lo rende più resiliente e intelligente. - Interface e address: gli strumenti del governo
Il livello interface (l’app, le playlist) e il livello address (il profilo univoco di un artista o di un utente) sono gli strumenti con cui il cloud governa lo user. Le playlist funzionali menzionate sono un perfetto esempio di come l’interface non sia una finestra neutra sul contenuto, ma un meccanismo attivo di governo che modella il gusto e il consumo, come descritto da Liz Pelly. Diventare un artista su Spotify significa accettare un address all’interno del suo sistema, diventando un’entità tracciabile e gestibile. Rinunciare a Spotify significa tentare di cancellare il proprio address, perdendo l’accesso alla sua “popolazione” di ascoltatori. - La minaccia sistemica
L’IA generativa non è un altro “user” che si ribella. È un nuovo tipo di agente non-umano che opera allo stesso livello computazionale del cloud. L’IA non cerca di fregare il padrone dall’esterno, ma parla la stessa lingua del sovrano: ottimizzazione, scalabilità, produzione data-driven. È una forza sistemica che hackera il modello di Spotify non violandone le regole, ma portandole alla loro estrema e paradossale conclusione. Saturare il sistema con la sua iper-efficienza.
Questa non è più una lotta tra user vs cloud, ma una potenziale lotta tra cloud vs cloud o, più precisamente, tra un modello di sovranità centralizzato (Spotify) e un modello di produzione decentralizzato e automatizzato (le reti di IA). La “grande diluizione” è la conseguenza economica di questa guerra computazionale, che minaccia le fondamenta del modello di business di Spotify molto più di quanto possano fare milioni di artisti “disertori”.
Una proposta di soluzione
L’analisi attraverso il framework di Bratton dimostra che le forme di ribellione individuali e romantiche sono destinate al fallimento perché concepiscono il problema in termini morali e personali, ignorando l’architettura del potere in cui sono inserite. La vera lotta non è contro le decisioni di un CEO, ma contro la logica sovrana della piattaforma stessa.
Una soluzione efficace non può quindi provenire dal livello user. Deve essere una risposta architettonica e politica, che mira a costruire un’infrastruttura alternativa o a modificare le fondamenta dello Stack stesso. La soluzione è passare dalla protesta individuale alla progettazione collettiva di un protocollo alternativo.
Il primo passo è riconoscere che nessun artista, da solo, può sfidare una piattaforma-sovrano. L’etica della purezza individuale è una trappola che porta a vicoli ciechi e a sterili dibattiti sulla coerenza.
La risposta alla centralizzazione del potere non è la frammentazione (la fuga di mille artisti isolati), ma una diversa forma di aggregazione. Gli artisti dovrebbero unirsi non solo in sindacati tradizionali per negoziare percentuali migliori (che sarebbe comunque un passo avanti), ma per finanziare e sviluppare un’infrastruttura tecnologica alternativa.
Questa alternativa non dovrebbe essere un “altro Spotify” gestito da artisti, che rischierebbe di replicare le stesse logiche di potere. Dovrebbe piuttosto essere un protocollo aperto e decentralizzato per la distribuzione, lo streaming e la monetizzazione della musica. Si potrebbe pensare a un sistema basato su tecnologie distribuite (come quelle del Web3 o sistemi federati come racconta da anni Kenobit) che permetta:
Sovranità dell’artista: gli artisti mantengono il controllo diretto sui loro file, sui loro dati e sulle loro condizioni di licenza.
Monetizzazione diretta e trasparente: creazione di modelli economici (es. user-centric payment system, micropagamenti diretti) che leghino direttamente l’ascolto al compenso, superando la “Grande Diluizione” del modello pro-rata di Spotify.
Interoperabilità: un protocollo aperto permetterebbe a diverse app e servizi di “attingere” alla stessa rete musicale, creando un ecosistema competitivo di interfacce invece di un unico monopolista.
In sintesi, la vera ribellione non è cancellare la propria musica da Spotify, ma scrivere il codice per un nuovo sistema. La sfida non è scappare dallo Stack, ma costruirne uno diverso, più equo e plurale. La lotta contro il potere computazionale deve essere combattuta con armi computazionali, trasformando la rabbia collettiva in un progetto politico e ingegneristico.