Fabio “Kenobit” Bortolotti mi ha introdotto ad un numero quasi esasperante di alternative alle big corps. È una persona meravigliosa, un amico irrinunciabile, ma attorno al tavolo dell’appartamento dove abita con Marta non puoi scappare dell’infinito flusso informativo che esce dai suoi pensieri costantemente orientati alla liberazione digitale. Prima di stringere amicizia con Fabio, il mio rapporto verso la città di Milano era apertamente conflittuale, ma sono riuscito ad ammorbidire questa mia relazione al suo introdurmi ad un concetto stupendo e tristissimo: l’enshittification. “Siamo la prima città che ha visto un quartiere auto-gentrificarsi! – esclama Fabio indicando verso NoLo – Milano è l’esempio più avanzato ed elaborato di enshittification applicato ad una città.”
Cos’è e a cosa ci serve l’enshittification?
Cory Doctorow, scrittore e attivista per i diritti digitali, offre una prospettiva radicale sul rapporto tra tecnologia e cambiamento sociale. La sua critica si concentra sul capitalismo di sorveglianza e sulla necessità di un’azione normativa che costringa la tecnologia a operare a beneficio della collettività. Nella sua visione, la tecnologia non è mai neutrale: il suo potenziale positivo deve essere attivamente protetto attraverso scelte politiche consapevoli e una lotta costante contro le tendenze monopolistiche del capitale digitale.
Nel vasto universo digitale dominato da Google, Facebook, Amazon e TikTok, assistiamo a un fenomeno insidioso che Doctorow ha efficacemente etichettato come enshittification. Il termine descrive un modello di degrado sistemico che trasforma le piattaforme online da servizi utili a ecosistemi tossici e predatori.
L’enshittification è un processo graduale in tre fasi:
Fase 1: attrarre gli utenti – la luna di miele
Una piattaforma nuova offre un servizio eccellente, spesso gratuito, con funzionalità intuitive. Attira i produttori di contenuti offrendo visibilità, pubblico entusiasta e strumenti per monetizzare. L’algoritmo privilegia qualità e rilevanza, creando un ecosistema vibrante. Ricordate i primi anni di Facebook, YouTube che dava visibilità ai creator, Amazon come libreria efficiente o l’esplosione creativa di Milano?
Fase 2: estrarre valore dai produttori – la trappola
Una volta raggiunta la massa critica di utenti, la piattaforma modifica gli algoritmi, introduce commissioni, riduce la visibilità organica. I produttori devono pagare per raggiungere il loro pubblico e si trovano in una condizione dipendenza: hanno investito tempo ed energie e abbandonare significherebbe perdere l’accesso al loro pubblico. Facebook che riduce il reach organico, YouTube che penalizza i canali piccoli, Amazon che aumenta le commissioni. L’autogentrificazione di NoLo? Milano non si ferma?
Fase 3: estrarre valore dagli utenti – il degrado finale
I produttori, esasperati, cercano alternative e la qualità cala. La piattaforma si rivolge agli utenti finali: pubblicità intrusiva, design che favorisce l’engagement compulsivo, abbonamenti per funzionalità prima gratuite. Gli utenti affrontano un servizio degradato, ma sono intrappolati dalla mancanza di alternative e dalla rete sociale costruita sulla piattaforma. Feed invasi da pubblicità, contenuti di bassa qualità, interruzioni pubblicitarie anche per servizi a pagamento.
Fanno cagare e si fanno pagare. Che è un po’ il paradigma della vita milanese.
Il meccanismo del monopolio
Doctorow attribuisce l’enshittification alla logica del capitalismo delle piattaforme. Le piattaforme di successo diventano monopoli grazie all’effetto-rete: più utenti attraggono, più il loro valore aumenta, rendendo impossibile l’emergere di alternative. Una volta consolidato il monopolio, non avendo più bisogno di sedurre, possono iniziare a sfruttare.
Il fattore chiave è la mancanza deliberata di portabilità dei dati e di interoperabilità. La nostra rete di contatti, contenuti e reputazione diventano asset proprietari della piattaforma. Spostare tutto ha un costo talmente elevato da rendere l’abbandono quasi impossibile. Non siamo più utenti liberi, ma sudditi di un feudo digitale.
Alla fine non sei più a Milano, ma in Corea del Nord.
Le conseguenze
Il fenomeno dell’enshittification, ben lungi dal risolversi in una mera seccatura per gli utenti, si estende con implicazioni profonde che toccano il tessuto stesso della nostra vita digitale e sociale.
Innanzitutto, ciò che si deteriora è l’esperienza digitale complessiva. L’ambiente online, che un tempo prometteva un’era di connettività fluida e accesso illimitato all’informazione, si trasforma progressivamente in un mare inquinato di spam invasivo, pubblicità onnipresente e contenuti la cui qualità precipita. Navigare diventa un esercizio di evitamento, anziché un’esplorazione fruttuosa. A farne le spese, poi, sono i contenuti creativi e informativi. Giornalisti, artisti, piccole imprese e tutti coloro che producono valore sulla rete vedono il loro lavoro svalutato e la loro capacità di raggiungere il pubblico compromessa. Quando le piattaforme privilegiano il profitto sulla qualità, l’innovazione si atrofizza e la diversità di voci che dovrebbe animare il dibattito online viene soffocata, lasciando spazio a un’omogeneizzazione guidata da logiche commerciali.
Parallelamente, si assiste a un inquietante rafforzamento dei monopoli. Il processo di enshittification consolida ulteriormente il potere delle grandi piattaforme, rendendo quasi impossibile l’emergere di alternative più etiche o realmente competitive. Le barriere all’ingresso diventano insormontabili, intrappolando utenti e creatori in ecosistemi dove le regole sono dettate da pochi giganti.
Non meno preoccupante è l’impatto sulla salute mentale e la dipendenza. Il design stesso delle piattaforme, ossessivamente orientato a massimizzare l’engagement e monetizzare l’attenzione, contribuisce in modo significativo a problemi diffusi come la dipendenza da smartphone, stati di ansia crescenti e forme di depressione, trasformando strumenti di connessione in fonti di malessere.
Infine, le conseguenze più gravi si riflettono sulla democrazia e sull’informazione. La manipolazione sempre più sofisticata degli algoritmi, unita alla proliferazione di contenuti di bassa qualità e alla disinformazione deliberata, può avere un impatto corrosivo sul dibattito pubblico e sui processi democratici. La capacità di discernere la verità dalla menzogna si fa più ardua, minando la fiducia nelle fonti e polarizzando le opinioni, con ricadute pericolose per la coesione sociale e la partecipazione civica consapevole.
Potete acquistare il libro Enshittification – Why Everything Suddenly Got Worse and What To Do About It in versione digitale direttamente dallo shop di Doctorow, oppure fisicamente da Verso Books.
