La grande attenzione ai finti soldout ci lusinga, nondimeno non coglie né intacca il meccanismo riproduttivo del capitale musicale. Mi spiego.
Quale sarebbe lo scandalo che dovrebbe emergere dallo scrivere “sold out” quando non lo è o praticare svendite sul costo del biglietto? Come sempre: non possiamo essere critici con il capitale leggendolo con strumenti non propri e inadatti.
Mi sembra che larga parta -se non la totalità- di questi articoli si muova su una orizzontalità etica di scorrettezza comunicativa. “Eh ma raccontano le bugie”, che sicuramente il Vangelo dice non sta bene a farsi, ma è anche vero che “it’s my party and i cry if i want to”. Il punto sui biglietti a 10€ è che quei 10€ dovrebbero essere il prezzo da pretendere in ragione del fatto che il capitale non fa nulla contro i propri interessi: in ipotesi potrebbe organizzare un concerto completamente gratuito per il pubblico rientrando nell’infinita sostenibilità economica di corporation facenti parti di conglomerati finanziari che hanno tutti gli interessi a lavorare, di tanto in tanto, in perdita.
Perché tu leggi concerto, ma il fine analista lacaniano che vive in me, ti suggerirebbe di capire “speculazione”.
Le analisi lette sono tutte giuste nel loro impianto etico, ma scordano che non si sta parlando né di arte né di persone, ma di merce. I grandi eventi, perché in questo contesto di analisi principalmente afferiamo a palazzetti dello sport e stadi, sono un prodotto che vive in un mercato esclusivo ad appannaggio di 2/3 società, alcune delle quali indistinguibili da quelle affianco, proprio perché più si torna alla radice nella filiera di scatole cinesi finanziarie e più gli stessi nomi si ripetono. KKR è solo il più noto delle ultime settimane, ma provate a guardare la galassia Ticketmaster / Live nation e poi andiamo a prenderci una birretta.
In questa condizione di mercato organizzata come un oligopolio non esiste nulla di ciò che normalmente intendiamo come cultura o umanità. Spiace per colleghe e colleghi che decidono di firmare con questi brand: ben chiaro che pecunia non olet, ma il giudizio delle persone è quello che costruisce le nostre carriere nel momento in cui prendiamo delle decisioni, non si venisse poi a piangere che a forza di guardare l’abisso etc etc etc. Degli artisti, in questo caso, io non credo si debba avere “pietà” lavorativa, lo dico leggendo l’approfondimento di Lucarelli che parla di contratti da cui risulta quasi impossibile uscire: l’artista è libero nelle sue scelte e caricato delle proprie responsabilità, nessuno firma con pistole puntate alla testa e i c.d. malvagissimi management che lucrerebbero alle loro spalle non sono nient’altro che una ennesima fetta di questo capitalismo musicale. Giocano tutti la stessa partita, ma come in ogni partita qualcuno vince e qualcuno fa gli sfondoni. Spiaze (cit.).
Una prece in particolare va a chi, posizionandosi in una fetta di immaginario politico “di sinistra”, fa felicemente parte di questo giochino: mollateci. Oppure mollateli, vi riaccoglieremo come il figliol prodigo (oggi evangelico, io).
Sarebbe forse il caso di chiedersi se con questi 80/90/100€ di biglietto che decidiamo di spendere ci sia poi un trattamento economico adeguato per chi ci lavora. Un trattamento economico adeguato alle ore di lavoro che normalmente non vengono rispettate, ma lo sapete già tutti tranne l’ispettorato del lavoro che giustamente non può mica trattarci come i camionisti con il marker temporale di quanto sta in movimento il TIR.
In una chat con amici ho immaginato il team di inchiesta di Fanpage che va a fare un lavoro sulle economie e la sicurezza e la dignità del lavoro nella produzione eventi, sarebbe un bel modo per cominciare a minare l’industria per come la conosciamo. Con buona pace di quei santi che firmano i piani sicurezza, tenuti per il collo anche loro dai padroni del cucuzzaro.
E allora per cosa ci si lamenta in questo presunto scandalo dei soldout? Che era possibile vedersi Elodie a 10€? Evidentemente la sua agenzia ha valutato che la merce-Elodie fosse deprezzabile fino a 10€, io ne sarei stato contento se fossi stato in un cliente-Elodie.
Il dynamic pricing è una pratica incondivisibile? Beh, non ce lo prescrive il dottore di foraggiare la carriera di qualcuno che decide di cedere la propria volontà per diventare un servo molto ricco. E gli Oasis hanno scritto grandi brani, ma sono un bellissimo esempio di servitù.
Ripetiamolo insieme: comprare un biglietto è sottoscrivere un accordo, è un po’ di più che metter mano al portafogli, se ci pensi.
Questi degli ultimi gironi sono “scandali” non trasformativi, che non evidenziano alcuna inequità verso i più deboli, perché nel mercato del capitale musicale non esistono i deboli: esistono solo clienti e merce.
