Da quando ho un podcast sono diventato ufficialmente un content creator.
Negli anni ho utilizzato i social network sia per scopi privati –con le foto delle vacanze o del matrimonio, come chiunque– sia per scopi promozionali. Se con la band la richiesta di produrre contenuti ad-hoc per le piattaforme è diventata sempre più pressante (e delirante e inappropriata considerata la natura e l’immaginario della band stessa), anche nel mio piccolo ho cominciato a “scendere a patti” con la c.d. creator economy.
Negli anni ho scritto numerose volte della mia feroce antipatia per la figura dell’influencer, anticipandone il declino narrativo, mentre da qualche tempo abbiamo familiarizzato con il rebranding di queste figure e l’emersione ex-novo di nuove celebrità definite e autodefinite “content creator”. Quelle persone che prima erano delle vetrine antropomorfe ora sono nobilitate dallo sforzo creativo del catturare l’attenzione dell’utenza, in relazione ai sempre più veloci meccanismi di consumo delle piattaforme, il cui fine ultimo –naturalmente– è quello di vendere qualcosa.
Non dobbiamo afferire solo al gruppo Meta o TikTok, ma anche a Google (“mi raccomando la recensione!” ogni volta che usciamo da una qualsiasi attività commerciale), alle piattaforme per le newsletter come Substack o MailChimp & co (“consiglia un articolo!”) e naturalmente alle piattaforme di streaming musicale e di podcast, di cui avevo parlato qualche giorno fa (e quale miglior autodenuncia se non l’esistenza dell’interfaccia “Spotify for creators”).
La parola chiave in content creator è la seconda: creazione. Nel 2025 non è possibile immaginare un ragionamento sull’estrazione di valore da parte delle big tech senza trattare l’intelligenza artificiale generativa, il lato della medaglia meccanico della creator economy ed entrambi sintomi di una nuova schiavitù.
Attraverso le lenti critiche di pensatori come Shoshana Zuboff, Nick Srnicek e Christian Fuchs, emerge un quadro inquietante in cui i content creator assumono le sembianze di veri e propri schiavi digitali e le intelligenze artificiali generative si configurano come l’ultima frontiera del capitalismo della sorveglianza.
I nuovi schiavi delle piattaforme
La figura del content creator, spesso idealizzata e presentata come espressione di libertà creativa e autonomia, nasconde in realtà meccanismi di sfruttamento profondi e sistemici. Le piattaforme digitali, che Srnicek definisce “infrastrutture che consentono di raccogliere, analizzare e monetizzare i dati degli utenti”, agiscono come “gatekeeper” che controllano l’accesso al pubblico, gli algoritmi di distribuzione e le opportunità di monetizzazione. Questa posizione dominante permette alle piattaforme di imporre condizioni spesso svantaggiose, modificando unilateralmente le regole di monetizzazione o gli algoritmi, riducendo drasticamente il potere negoziale dei singoli creator (per la musica ci si può riferire a Poptimism di Massimiliano Raffa, Meltemi 2024).
Il lavoro svolto dai content creator rientra a pieno titolo nel concetto di digital labor analizzato da Christian Fuchs. Gran parte del loro impegno –la produzione di contenuti, l’interazione con il pubblico, la generazione di traffico e dati– è spesso non retribuito o sottopagato, specialmente per i creator emergenti. Questo lavoro invisibile o mal retribuito contribuisce in modo significativo al valore complessivo delle piattaforme. Il confine tra lavoro e tempo libero si dissolve, poiché molti creator vivono la loro attività come una passione o un hobby, sottovalutando la mole di lavoro non retribuito che svolgono per le piattaforme (come dite? nessuno vi paga per il vostro podcast? ahi ahi ahi!). Attraverso questa attività, gli utenti diventano una merce-pubblico (audience commodity), venduta agli inserzionisti, con i content creator che generano il contenuto che attrae e trattiene questa “merce”. La loro dipendenza dalla visibilità e dagli strumenti della piattaforma li rende estremamente vulnerabili e alienati dal frutto del loro lavoro.
In alcuni casi li rende anche ricchi (in forme di ricchezza più vicine alle vecchia classe media che alla moderna classe dei ricchi, va detto), producendo come effetto secondario lo spirito emulativo di tante persone che ritengono afferrabile questo successo, introiettando la chimera capitalista dello “svoltare”, del farcela. Niente di più e niente di meno che un colpo di fortuna, come abbiamo visto legato a meccanismi indipendenti dalle volontà del creator.
Per ogni utente di una piattaforma quanti creator ce l’hanno fatta? Per ogni gratta e vinci giocato, quanti sono diventati milionari?
La rendita da dati, malgrado sia l’aspetto più noioso e sicuramente invisibile, è un’altra forma cruciale di sfruttamento se non, forse, quella a cui sono più interessate le piattaforme che vi sollazzano con le analitiche, ma che di certo non vi cedono lo sfruttamento dell’enorme quantità di dati che elaborano grazie a voi.
I dati generati dai content creator (engagement, visualizzazioni, demografia del pubblico) sono una risorsa preziosa per le piattaforme, che li utilizzano per migliorare i propri algoritmi, attrarre inserzionisti e consolidare la propria posizione monopolistica. Questo valore viene estratto senza che i creator ne ricevano una parte proporzionale. In questo sistema, i creator non sono partner paritari, ma ingranaggi di una macchina che estrae valore, mentre il loro stesso valore viene mercificato e venduto, trasformandoli di fatto in “schiavi in abbonamento” che pagano una rendita da dati come lavoro non retribuito.
Quando capita che vi sottraggano una pagina molto seguita che avete aperto alcuni anni fa ricordatevi sempre che quello spazio non è vostro, quei follower non sono vostri, quei dati prodotti non sono vostri e nemmeno il repertorio di contenuti creato è vostro. L’avete ceduto accettando termini e condizioni e indietro non si torna.
IA generative: la nuova frontiera del capitalismo della sorveglianza
L’avanzamento delle intelligenze artificiali generative, come analizzato da Shoshana Zuboff, rappresenta una fase successiva e più sofisticata del capitalismo della sorveglianza. Le IA generative non sono un progresso tecnologico neutro, ma una manifestazione più profonda di questo sistema.
Il “Ciclo di Espropriazione” di Zuboff si manifesta in modo lampante nell’operato delle IA generative:
- Incursione (Incursion): La fase più evidente è l’estrazione massiva e spesso non consensuale di dati da ogni angolo del web: testi, immagini, audio, video. Milioni di opere protette da copyright, post sui social media, articoli e conversazioni vengono raschiati (scraped) e trasformati in materia prima per il capitale di sorveglianza. Questa non è solo un’incursione nella proprietà intellettuale, ma anche nella creatività e cognizione umana, simulando la scrittura, l’arte e il ragionamento, e mercificando queste prerogative uniche dell’intelligenza umana.
- Abituazione (Habituation): L’integrazione rapida e l’entusiasmo per le IA generative portano a una normalizzazione del loro uso, percepite come normali o addirittura necessarie. Le aziende gestiscono le critiche etiche con promesse di “IA responsabile”, che spesso servono a mantenere la fiducia del pubblico e rallentare la regolamentazione, senza affrontare la radice dell’espropriazione.
- Adattamento (Adaptation): Gli aggiornamenti delle IA generative, pur sembrando offrire più controllo all’utente, in realtà rafforzano il meccanismo di espropriazione. I dati continuano a essere usati per migliorare i modelli e i prodotti di previsione, alimentando un ciclo di feedback che perfeziona la capacità dell’IA di modellare il comportamento. La loro profonda integrazione negli ecosistemi digitali aumenta la dipendenza degli utenti e riduce le alternative.
- Reindirizzamento (Redirection): Il dibattito pubblico viene spesso reindirizzato sui benefici apparenti dell’IA o su rischi più spettacolari, distraendo dall’espropriazione sistemica dell’esperienza umana. La responsabilità della privacy è spesso imposta all’utente, invece di riconoscere la natura intrinsecamente espropriativa del capitalismo della sorveglianza e delle sue IA generative.
Le IA generative potenziano le economie dell’azione. Non si limitano a predire, ma intervengono per modellare il comportamento, influenzando opinioni, scelte di consumo e persino risultati politici, andando oltre la semplice previsione per arrivare alla manipolazione e al controllo ambientale. Questo solleva interrogativi fondamentali sulla proprietà intellettuale e sul valore del lavoro umano nell’era digitale, evidenziando una nuova forma di accumulazione primitiva basata sull’espropriazione del “surplus comportamentale generativo”. Numerose dispute legali sono in corso riguardo all’uso di opere protette da copyright per l’addestramento delle IA, e le IA stesse possono produrre output che violano la proprietà intellettuale.
Verso un Futuro di Controllo e Sfruttamento Potenziato
L’intersezione tra lo sfruttamento dei content creator e l’avanzamento delle IA generative prefigura un futuro in cui il controllo e l’estrazione di valore da parte delle big tech si intensificano. I content creator, che già operano in un regime di schiavitù digitale mascherata da opportunità, vedono la loro stessa creatività minacciata e riprodotta dalle macchine che essi stessi hanno, indirettamente, contribuito ad addestrare. Le IA generative, alimentate dal digital labor e dal surplus comportamentale di miliardi di utenti, diventano strumenti per una sorveglianza più pervasiva e una manipolazione più sottile del comportamento umano.
Questo scenario richiede una riflessione critica profonda e azioni volte a resistere a questa deriva. Il pensiero critico di sinistra non può accettare la narrativa dominante delle big tech come forze di progresso neutrale. Al contrario, deve analizzarle come attori centrali del capitalismo contemporaneo, evidenziando le implicazioni di sfruttamento, disuguaglianza, alienazione e controllo. L’obiettivo non è una semplice regolamentazione, ma una trasformazione più profonda dei rapporti di potere, per recuperare autonomia individuale e collettiva di fronte a un sistema che cerca di mercificare ogni aspetto dell’esperienza umana.