estratto da “Qualcuno con cui parlare”
[…] la stazione di Santarcangelo di Romagna è orribile.
È una stazione da fine del novecento, quando il secolo migliore della storia già imbruttiva e si faceva mangiare dal capitalismo funzionalista peggiore: quello delle archistar che progettano le stazioni del futuro, ma su un treno non ci sono mica mai salite.
Così come queste stazioncine di provincia sono evidentemente frutto di geometri annoiati, grigi burocrati delle Reti Ferroviarie Italiane condotti al pascolo per fare sopralluoghi che non vorrebbero fare, abbandonando i loro cubicoli razionali e climatizzati per avventurarsi nelle lande malinconiche della provincia italiana.
Una merda.
Stazione di Santarcangelo di Romagna, recensione su TripAdvisor di Alberto bebo Guidetti, voto: 4.
È un peccato quando le stazioni sono mal curate, povere.
Anche il bar è misero: la luce del posto sfarfalla e me ne accorgo anche se è giorno pieno, perché sento il classico rumore da luce al neon intermittente. Clàclàng. Clàclàng.
Vendono le sigarette e penso che ieri sera volevo comprarle, ma vicino al palco non c’era alcun tabaccaio, adesso invece non ho alcuna voglia di fumare ma vorrei comprarmi il pranzo. Cosa che mi è impedita perché nella vetrinetta dei cibi salati c’è una sola tristissima pizzetta che non invoglierebbe neanche un morto di fame.
Volevo una piadina: in venti minuti di attesa mi sembrava ragionevole non dico farne preparare una su misura con squacquerone e rucola ma quantomeno farne scaldare una già assemblata secondo il gusto locale, buttarla in un sacchetto bianco e mangiarla in questo deserto cementizio.
Guardo oltre il bancone e chiedo un succo di frutta, lo bevo in un sorso e saluto la barista che mi ha sorriso per tutto il tempo: lei, l’unico respiro umano di un posto perturbante.
In questi luoghi si consumano le vite delle persone: la voglia di lasciare casa, la fretta di tornarci, i necessari baci e abbracci che non bastano mai, le attese solitarie a smaltire chili di pensieri mentre sono più i treni che transitano che quelli che fermano e io resto lì, a pensare alle mie cose: ai ritardi accumulati, alle date del tour, a Matteo che è morto, ai miei genitori che non li sento quasi mai, a mio fratello che non lo sento mai, ai soldi, alle ferie, al governo, a questi cazzo di biglietti cartacei che ho il terrore mi volino via e non li ho timbrati e sicuro il controllore mi s’incula.
In Emilia-Romagna ce la meniamo molto con la buona amministrazione e la qualità della vita, ma se volete misurare la provincia, prendetevi un regionale e cercate una macchinetta timbratrice alla stazione di Santarcangelo. Ci sono, ma sono tutte fuori uso.