Ho un ricordo parcheggiato in un angolo della memoria: sono a casa di Marco, compagno di classe dei primi anni delle superiori, è sera, siamo al Pilastro di Bologna dove abita con la famiglia. E hanno il videoregistratore. A casa mia, il videoregistratore è arrivato a metà della mia adolescenza –dopo miei numerosi solleciti– per poter finalmente programmare la registrazione di Satyricon di Luttazzi.
La questione delle VHS era già risuonata nella mia vita qualche anno prima, quando mi ritrovai ad essere l’unico partecipante alla festa di compleanno di Giovanni, un compagno delle elementari che nel 2025 avrebbe fior di diagnosi (o forse no) e che, cercando poco fa su Google, mi sa che un paio di anni fa ha fatto filotto di rapine in una giornata ed è finito al gabbio.
A casa di Giovanni, per questa “festa” –virgolette necessarie per la mia all’epoca già evidente incongruenza con il ruolo di motore del divertimento– passai un’oretta a guardare un interminabile montaggio di azioni da sogno di Maradona. Giovanni era malato di pallone: continuò a giocarci in quella stanza per tutto il tempo del nastro, anticipando ogni gol dell’argentino e privandomi del tutto dell’effetto sorpresa in quella strana versione della cura Ludovico a cui mi stavo sottoponendo (e a cui ero stato spinto dall’infinita pietà cattolica di mia madre che, per un senso di colpa di difficile analisi ancora oggi, mi aveva esortato con un ricattatorio “poi ci rimane male”, senza prendere in considerazione l’abisso che passava tra me e Giovanni). La passione per Maradona, comunque, rimase una cosa oscura fino a pochi anni fa, prima di pigiare play sul documentario di Kapadia e la pubblicazione di “Non sarò mai un uomo comune” a firma di Gianni Minà. Prima dei recenti scudetti e prima che Carrot decidesse d’improvviso di tifare partenope.
A casa di Marco sono già indottrinato alla questione “chiusini da VHS”, seppur da dilettante ancora acerbo, lontano dal mio esordio nella massima categoria della fattanza raggiunta pochi anni dopo con Albi, Mariuzzo e la compagnia di San Donato, addormentandomi per terra con addosso il giaccone e una birra in mano, durante l’ennesimo rewatch di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”. Poi uno dice “radical chic”, ma prima dello chic sono passati centinaia di euro in fumo cattivo e gente che esclama “tu sei un cavallo!”.
Dicevo.
Da Marco si replica una situazione simile a quella di dieci anni prima: io, lui e un terzo riuniti per una “festa” che non è una festa. Nessuno di noi ancora né fuma le porre, né beve. Fumiamo timidamente le sigarette, tra cui quelle della mamma di Marco. Una signora che, ricordandola solo ora, ho sempre trovato squisita. Il videoregistratore era un’arma a doppio taglio, perché se adesso siamo davvero immersi nell’era della riproducibilità, all’epoca per riprodurre qualcosa tramite VHS dovevi trovartici davanti mentre veniva trasmesso o sapere quando programmare l’aggeggio. E sperare che non ci fossero ritardi, che bastasse il nastro, che andasse tutto bene. Non è che ti dicevi: “vorrei proprio riascoltare Io non ti invidio di Fibra” pensando di mettere su la cassetta. Non so davvero dire come sia successo, da dove arrivasse quella cassetta, chi l’avesse editata e perché esistesse una versione VHS con l’audio di Fibra e se era una cosa che era entrata per merito di qualche cugino o amico più grande di Marco. Lui comunque ci aveva passato sopra un giro di sofporn che andavano in tarda serata e che si era deciso a ritrasmettere ora mentre cercavamo di cavar fuori una festa da una non-festa, ma fatto sta che tra un paio di chiappe e l’opera di un chirurgo appassionato di sfere perfette rimase un minuto di “Io non ti invidio” di Fibra.
Il mio approccio con il rap era stato pigro e sbilenco: Paolo si era infognato con questa cosa dei graffiti e il rap, quindi a casa sua avevano cominciato ad apparire dei mixtape con dentro Neffa e i Messaggeri, OTR, Bassi, non ricordo chi. Io salivo su da lui perché poi uscivamo assieme come facevamo dai tempi delle elementari, anche se poi non è che uscissimo: io salivo dietro sul suo 50 e andavamo al ponte di via Libia “a fare i pezzi”. Non facevo un cazzo, mai avuto il quid artistico. Però c’erano gli altri con i ghettoblaster e quindi tutto questo boom-bap mi finiva nelle orecchie. Per me il rap era un po’ quella roba lì: un tramite verso gente che ritenevo parecchio più figa di me. Poi le superiori, ci si perde un po’ di vista con Paolo, mi perdo un po’ di vista con il rap che però torna prepotente in quel modo che sembrava uscito da Blob. Mi dico: ok, qui c’è qualcosa. Torno a casa, cerco sui primordiali siti di scambio mp3, eMule e compagnia bella. Ripensandoci, mica me lo sono mai comprato Mr. Simpatia.
Prima stavo guardando Fibra ospite a Tintoria. Dopo un inizio timido mette la marcia giusta e alla fine si mangia tutto e tutti, come è giusto che sia. Almeno per me. Lo dico in pubblico forse per la prima volta, perché ripensandoci in questi anni a forza di voler fare il fenomeno ho sempre sciorinato un sacco di nomi altisonanti, ma se c’è uno che stimo aldilà di tutto è proprio Fibra. Ma non è nemmeno stima, è tipo il rapporto che sogni di avere con il tuo fratello maggiore: ai miei occhi era il numero uno anche quando non la imbroccava, le sue interviste me le sono sempre recuperate tutte, so meglio i suoi testi che quelli della mia band e pochi anni fa, le frasi finali di un suo disco, erano pronunciate dalla voce di Sergio con cui ho lavorato moltissimi anni e che da moltissimo tempo conosce bene Fibra.
Sergio è tipo la mia VHS personale di Fibra. Io vorrei sapere tutto, ma lui sa quanto e cosa dire, come quando mettevi su il videoregistratore e ti dovevi accontentare di quel che prendevi. Tutte le volte che ci vediamo gli chiedo come sta Fibra e lui dice e non dice. Se era a Roma con lui, me lo dice dopo. Mi dice che magari poi facciamo in modo di conoscerci. Ma non succede mai e dentro di me un po’ ci spero e un po’ no, ma soprattutto no, perché magari poi ci resto male e invece a me piace il Fibra che ho nella testa. Perché è giusto coccolare ancora una volta l’adolescente al Pilastro, più preso dalla copertina e dalle parole di uno di Senigallia che dalla bionda che si leccava i capezzoli.
Alla fine di questa storia marginale a tutte le altre storie: sabato Fibra sarà sul palco di 64 Bars a Corviale. 7 minuti di motorino da casa. Ho sentito Carlo, così ci andiamo a prendere un caffè tra poco e gli ho chiesto due accrediti per me e Arianna, che mi fa: “chiedigli un pass backstage”. E io: “neanche per sogno”.