Sono su un treno, che mi capitava spesso, ma quest’estate no. Sono su un treno che costeggia il mare, verso nord, poco dopo l’alba. In stazione sono andato in motorino, perché all’alba Roma sarebbe stata vuota, quasi fresca, comunque godibile. Tant’è che –uscendo da porta Cavalleggeri con il sole sbadigliante che tinteggiava già Ponte Amedeo e Castel Sant’Angelo– ho pensato che questa è una vita bella, nonostante tutto, che è una vita merdosa, malgrado tutto.
Mi tengo tutt’e due i pensieri sul lungotevere di Nona, di Augusta, novanta gradi a destra verso Piazza del Popolo, poi piazzale Flaminio e Muro Torto e quasi mi scivola il motorino.
Rifugio in via Vittorio Veneto, dove alle 6.15 del mattino non c’è quasi nessuno –giusto un autista NCC che pulisce il Mercedes dai vetri scuri, quattro tizi con le divise dell’AMA al bar, il tipo davanti a me al semaforo che si è chiuso sul telefono, o forse ha sonno.
Mi sono tenuto questi due pensieri come mi sono tenuto due pensieri per quasi tutti gli anni della vita adulta: che senso ha la vita? Come gestisco questo scoppio di felicità? Me li sono tenuti in tasca delle braghe, del cappotto, nello zaino, sopra al tavolo. Me li sono tenuti perché non sapevo fare diversamente e non potevo fare altrimenti: tenerti due pensieri dicotomici è uno dei pilastri del pensiero depressivo, mi hanno detto, ma lì per lì non riconoscevo la metà delle cose che ho conosciuto nel tempo.
Ho tenuto tutto assieme con ostinazione alle 6.30 verso il grande magazzino del bricolage, verso la fabrichetta, nei tour, con le persone, gli amici, mamma, papà. Era un’esperienza democratica e orizzontale: nell’impegno del tenere due pensieri assieme non hai molte energie per differenziare il trattamento verso gli altri.
Tutte cose che non sapevo e che scoprivo empiricamente, chiaro che poi riguardare quei momenti con il bagaglio di cose imparate ad oggi… Uno pensava di essere disastroso e invece era solo depresso e funzionante. Convinto che tenere assieme due pensieri dicotomici avrebbe prodotto un superpotere: quello di aggirarsi spettralmente tra le corsie di un supermercato, un pranzo di famiglia, l’uscita con una ragazza.
Se ignori il nome delle cose, se non conosci e non riconosci, alle volte, di rado, secondo me, ti aiuta.
Mi sono persuaso questa ignoranza sia stata utile, somigliando da fuori a ciò che somigliavo da dentro, senza mimesi o autoracconto. Era un mondo diverso e più disponibile verso la posizione fetale o l’esplosione di rabbia: due cose che il neo-liberismo ti sollecita a risolvere per poter essere efficiente, ma prima acquistando un libercolo in cui l’esperienza del sé è l’unico medium per tradurre una teoria generale, in questo infinito twist di espulsione e sussunzione ben oltre il postmoderno, il post-ironico, il nuovo sensibilismo. Tutte cose che mal si adattano a tempi nevrotici, ansiogeni.
Una cosa, il sapere, che aiuta a stare nel periodo tassonomico in cui viviamo e che aiuta molte persone a trovare una definizione per loro stesse solo attraverso una diagnosi, magnificando l’identità dentro una categoria medicale, comprensibile a chiunque, una merce come tante. Oltre lo stigma c’è la personificazione del malessere e la possibilità di diventare riconoscibile come categoria merceologica: apri un libro, punta un dito, scopriti. A forza di cercare si trova di tutto.
In tempi curativi a me piace inquinare andando in motorino all’alba verso la stazione per cose di lavoro, tutte cose che con un minimo di sonno in più disprezzerei, ma la luce di questo cielo dice di tenere tutto assieme, tutto nello stesso momento, l’opposto di quegli anni di vita adulta al cui centro una ragazza mi chiese cosa volessi e risposi “essere lasciato in pace”. Così mi lasciò in pace scrivendo una lettera che era una diagnosi e una profezia.
Il cervello degli esseri umani, nonostante il Fontanone del Gianicolo, non è ancora programmato per la vita di città: un’introduzione tecnologica molto recente rispetto al momento in cui la nostra struttura biologica ha assunto la forma attuale.
Motorino o non motorino. Autismo o non autismo. Depressione o non depressione. Ansia o non ansia. Malattie o non malattie. Tutto mi sfugge, tutto è vicino.