Una breve riflessione legata all’organizzarsi, Zerocalcare e la Palestina
Ho guardato con un mix di sollievo e rabbia l’uscita di Zerocalcare dalle mura del salone per rimettersi in mezzo alle persone che manifestavano. Quando L’Espresso titolò forzosamente “l’ultimo intellettuale” fece un torto (piccolo) a Michele Rech e uno (più grande) a chi lavora nella cultura e ogni giorno cerca di mettere assieme le attività “dentro le mura” e “nelle piazze”, che sono due luoghi dell’anima e della pratica. Sono due luoghi in cui si va avanti solo organizzandosi, rispondendo alla famosa domanda “che fare?”.
Zerocalcare ha -in maniera chiara- sottolineato questo semplice concetto pratico, ha preso la sua faccia e il suo zainetto ed è andato dove le persone si erano organizzate per spingere il mondo un po’ più in là, per qualcosa di più grande di noi.
Queste cose più grandi di noi che alle volte, da soli, non sappiamo quali siano, ma la fortuna vuole che ci sia qualcuno che vede in maniera più lucida. Capita anche che quel qualcuno siamo noi. Non una leadership, ma la consapevolezza di avere accanto al proprio gomito qualcuno che ci integra, ci sostiene e in definitiva si fida. Un gesto che è sia figlio di un’enormità razionale, ma anche di uno slancio irragionevole, qualcosa di simile ad un gesto di fede.
Il mondo attorno e la mia storia personale mi hanno nutrito di rabbia per troppe ingiustizie e diseguaglianze viste e vissute. Il sostegno al popolo palestinese è la sineddoche costruita su larghe fondamenta di precariato, instabilità economica, emergenze abitative, lavoro povero quando non assenza stessa di lavoro.
Un quadro interpretativo, di questo ho avuto bisogno. Zerocalcare corrobora l’emersione della necessità di avere un quadro interpretativo che permetta di rispondere per sé in una direzione pubblica e collettiva.
E dunque evviva organizzarsi, evviva cercare e trovare l’organizzazione più prossima alle nostre esigenze, alle nostre vite e infine, come suggeriscono da GKN, convergere.
Niente di più e niente di meno che evitare la trincea nel proprio orto, nel proprio salone.